Il blog

Questa è la sezione dedicata al mondo del Verdicchio. Al suo interno troverà una rubrica di approfondimento interamente dedicata alle terre del Verdicchio curata dallo scomparso Prof. Riccardo Ceccarelli, noto storico delle Marche e suo profondo conoscitore grazie al quale, del resto, questo blog non avrebbe mai visto la luce. È proprio per celebrare il suo lavoro che abbiamo deciso di continuare a raccontare, anche attraverso i suoi scritti mai pubblicati finora, quell’ecosistema di tradizioni, persone, ambiente a lui tanto caro e che rende il nostro territorio unico al mondo.

La vendemmia, una festa!

La vendemmia, una festa!

Scritto da museosartarelli il 29 Agosto 2018 in Storia

Si preparava per tempo, la vendemmia. Tutto in cantina doveva essere in ordine: le botti ben raschiate e odorose, le tinozze con le doghe rafforzate, il torchio ben ripulito e funzionale, i mastelli e i barili pronti all’uso. Ci si dava appuntamento non solo con quelli di casa, piccoli e grandi, ma anche con i vicini, concordando il giorno e pronti a ricambiare.

Un tempo era così. La vendemmia era una festa per tutti.
Si sentiva. Era, come la mietitura, la festa del raccolto. La terra restituiva il frutto del lavoro di un anno ed un sorriso grato e soddisfatto si stampava sul volto di chi staccava il grappolo dalla vite. C’era chi cantava lungo i filari con gioia e spontaneità. Ragazzi e ragazze tra un grappolo e l’altro si scambiavano sguardi d’amore. Un’atmosfera di festa che si spandeva fino alla cantina dove avveniva la pigiatura. Atmosfere di altri tempi.

Se qualcosa è rimasto è in quel senso di frenesia che accomuna i vendemmiatori di oggi, giovani per lo più, occupati in lavori stagionali. Non sentono però la festa ed anche il profumo del mosto che emana dalle uve appena pigiate dice poco o nulla. Per loro è solo un lavoro.

La festa è qualcosa di diverso, non ti pesa il lavoro, senti con le tue mani il dono che la terra ti offre, ne gioisci, scopri un feeling con essa, sai che non ti tradisce, sorridi, il profumo delle uve e del mosto ti inebria. E la puoi condividere perché sai, e ne hai la prova, che chi ti è accanto è in sintonia con te. La festa della vendemmia… ad essa bisogna ritornare, ovviamente non con le “strutture” di un tempo, bensì con quello spirito gratitudine e di gioia, con la preoccupata serenità di chi si attende da gesti antichi, quali sono la pigiatura e la fermentazione, un vino antico sì ma sempre nuovo.

Riccardo Ceccarelli

Rivista Mappe no. 12, Museo Sartarelli

Rivista Mappe no. 12, Museo Sartarelli

Scritto da museosartarelli il 23 Luglio 2018 in News & Mostre

Venerdì 20 luglio, a Marzocca, presso il Demanio Marittimo, è stato presentato il dodicesimo numero di Mappe. La rivista edita da Gagliardini, il cui direttore editoriale è Cristiano Toraldo di Francia, si è e consolidata in oltre 20 anni di attività editoriali e culturali, raccontando il territorio marchigiano e l’architettura che in esso perfettamente si integra. In questa edizione si è parlato anche della cantina Sartarelli e del suo progetto del nuovo “centro accoglienza” e museo.

http://www.mappelab.it/20-luglio-2018-presentazione-mappe-12/

Da Castelplanio il verdicchio per Roma

Da Castelplanio il verdicchio per Roma

Scritto da museosartarelli il 5 Luglio 2018 in Storia

Per Castelplanio le sue vigne sono state la sua ricchezza. Già nel Cinquecento i Capitolati comunali prescrivevano norme precise per la tutela dei vigneti e sui tempi della vendemmia. La produzione di vino doveva essere sufficiente per il consumo locale e proibita qualsiasi esportazione, così prescriveva un editto del Governatore di Jesi del 6 novembre 1675, altrimenti in genere vigeva il liberismo più assoluto come da un altro editto del 1 settembre 1677. Il raccolto ad ogni secolo crebbe notevolmente e tra i vitigni, verso la fine dell’Ottocento, si affermò quello del verdicchio sia nel territorio di Castelplanio come in quello dei comuni vicini a sinistra e a destra del fiume Esino.

Negli anni Sessanta dell’Ottocento, il Dott. Filippo Chiorrini di Castelplanio aveva una rivendita di verdicchio in Ancona, nel 1875 ottenne una medaglia d’argento durante l’esposizione di Fabriano. Con la realizzazione della stazione ferroviaria a Castelplanio sulla linea Falconara-Roma inaugurata nel 1866, incrementò il commercio verdicchio con Roma.

Molti furono gli imprenditori che da Staffolo, Cupramontana, Maiolati, Castelplanio, dalla fine dell’Ottocento ai primi decenni del Novecento, per ferrovia, dalla stazione di Castelplanio appunto, o con trasporto su gomma, portavano verdicchio a Roma. Da Staffolo ricordiamo Mariano Cantarini, Giuseppe Camerucci e altri ancora che nelle loro osterie accanto al “vino dei castelli romani” proponevano il “Verdicchio dei castelli di Jesi” di loro produzione nei vigneti che avevano a Staffolo.

È nata proprio in queste osterie la dizione “Verdicchio dei castelli di Jesi” per distinguerlo dal “vino dei castelli”.

Da Cupramontana Augusto e Domenico Cerioni, da Maiolati Eugenio Zucchi e Vincenzo Perticaroli, da Castelplanio Giovanni Cerioni che acquistava verdicchio da diversi produttori e lo inviava a Roma. Sono questi i protagonisti e i “pionieri” del verdicchio a Roma, che lo hanno fatto conoscere e facendolo diventare quasi di casa.

Riccardo Ceccarelli

XI FORUM INTERNAZIONALE DELLA CULTURA DEL VINO.

XI FORUM INTERNAZIONALE DELLA CULTURA DEL VINO.

Scritto da museosartarelli il 3 Luglio 2018 in News & Mostre

Roma, Lunedì 2 luglio 2018.
Organizzato dalla Fondazione Italiana Sommelier, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il Presidente Franco Ricci ha invitato alcuni produttori italiani, giornalisti di settore e sommelier.
Onorati di essere stati resi partecipi di un incontro e di un momento di scambio così importante
per il mondo del vino, che è non solo economia, ma anche cultura e rappresenta fieramente il brand “Made in Italy” e il saper fare tipico italiano.

Il vino è cultura, il vino è italianità, il vino è tempo, il tempo che cambia. C’è un sempre maggior avvicinamento delle persone alla cultura del vino e al saper bere bene, così come sempre maggiori sono la volontà e la capacità di far conoscere il vino italiano anche in Paesi lontani sulla carta e nella mente. L’Italia è il Paese al mondo con il più alto numero di varietà tipiche e autoctone così come il settore agro-alimentare, in particolare quello del vino, è fra i settori trainanti per l’economia italiana. È lo specchio della buona e colta Italia!

Visiti il sito della Fondazione Italiana Sommelier: Bibenda – Fondazione Italiana Sommelier

Grazie alla Fondazione Italiana Sommelier, al suo presidente Franco Ricci e al Presidente Mattarella per la vicinanza dimostrata al mondo del vino italiano!

Degustare il Verdicchio

Degustare il Verdicchio

Scritto da museosartarelli il 5 Giugno 2018 in Storia

Degustare il vino, non solo berlo, meno ancora tracannarlo, peggio ancora ubriacarsene: è così anche per il Verdicchio. Esso va assaggiato, assaporato, centellinato. È la modalità più appropriata per valorizzare il nostro vino, per dare cioè al migliore prodotto della nostra terra quella giusta conoscenza che esso merita, insieme al ruolo che da secoli esso ha avuto e riveste ancora nella cultura della nostra gente.
Conoscere per apprezzare.
Cosa si deve dunque conoscere del Verdicchio?
Innanzitutto il suo “essere frutto del terra e del lavoro dell’uomo”. La terra che lo produce, le sue condizioni geomorfologiche e microclimatiche che influiscono in maniera essenziale sul prodotto stesso, il vitigno nella sua specificità e il suo rapporto unico con i luoghi di coltivazione. Poi quanto l’uomo con il suo impegno, la sua passione, la sua ricerca, vi porta nell’esaltare il “prodotto della vite”, nel perfezionarlo, nel farlo rimanere il più possibile espressione di quella terra e di quel territorio. Prezioso il contributo del sommelier che guida alla scoperta dei sentori identitari attraverso l’osservazione, la percezione olfattiva e il gusto. Ogni passaggio va correlato ad approcci che ne analizzano gli aspetti più essenziali: il colore e le sue tonalità, le fragranze, i profumi e i sapori. Conoscere, assaporare, degustare il Verdicchio è una festa: una gioia per gli occhi, una delizia per l’olfatto, una soddisfazione per il gusto; è poi un momento esaltante: nel Verdicchio infatti si “nasconde” gran parte della storia della nostra terra e dei castelli dove esso è prodotto, storia attuale e dei secoli passati, vicende di passione e di lavoro instancabile, di imprenditoria, di intuizioni, di festose aggregazioni popolari. Il Verdicchio, come ogni altro vino, chiede questa applicazione dell’intelligenza per svelare tutte le sue “doti inconfessate”, abusarne invece, oltre che oscurare l’intelligenza, diventa una palese offesa e un altrettanto chiaro tradimento del vino stesso. Degustare il Verdicchio allora per rispettarlo e rispettarci.

Riccardo Ceccarelli

Ogni colle, un castello

Ogni colle, un castello

Scritto da museosartarelli il 15 Maggio 2018 in Storia

Non è una rarità la conformazione abitativa del nostro territorio, quello dei “Castelli di Jesi”, che da il nome al vino che vi si produce, sta di fatto che su ogni collina si erge un castello ma oggi, purtroppo, non lo notiamo quasi più. Con lo sviluppo che ha avuto il fondo valle, sia del fiume Esino che del Misa, l’intero territorio ha subito una trasformazione radicale. Fino ad un secolo e mezzo fa c’erano solo i castelli sui cocuzzoli delle colline o adagiati sulle propaggini delle loro sommità, le aree boschive erano molto estese e nelle parti più remote i monaci, già prima del X secolo, vi avevano costruito eremi, dimore e piccole chiese. Ma erano i castelli a dominare l’intero paesaggio. Si era costituiti come luogo di difesa e le cinte murarie ne costituivano baluardi sicuri. Il palazzo pubblico e le chiese furono i primi edifici in muratura all’interno del castello, le case in legno ben presto furono sostituite da costruzioni in pietra o mattoni, più solide dunque, segno di un’economia florida e aperta ai commerci. Si consolidarono le oligarchie famigliari e paesane che ebbero per secoli la direzione amministrativa e politica dei singoli castelli. Jesi li aveva dal Duecento sottomessi quasi tutti, unica era la legge, gli “Statuti” e unico lo stemma: il leone rampante messo sulla porta di ogni castello, segno di padronanza e di soggezione. Amministrazioni autonome ma legate a quella jesina con un “capitano” nominato da Jesi che vigilava, con tasse nettamente rispetto a quelle di Jesi. Gli “Statuti” privilegiavano con norme molto dettagliate ogni aspetto della vita politica e sociale ed economica, mentre le coltivazioni del grano, dell’olivo e della vite avevano una tutela particolare; forse anche per questo sulle nostre colline, che furono progressivamente disboscate, il grano, l’olivo ma soprattutto la vite, si impadronirono di aree estese. Così furono per secoli, come disegnate da un artista.

Riccardo Ceccarelli

Il Verdicchio compie 50 anni!

Il Verdicchio compie 50 anni!

Scritto da museosartarelli il 24 Aprile 2018 in News & Mostre

Era l’11 agosto 1968 quando venne approvato il decreto disciplinare, attraverso il quale si attribuiva la denominazione di origine controllata al Verdicchio dei Castelli di Jesi.
Da quel giorno sono passati 50 anni, mezzo secolo di successi e soddisfazioni, un traguardo importante che non poteva non essere festeggiato nel giusto modo.
Per tale motivo venerdì 20 aprile abbiamo deciso di omaggiare questo prezioso nettare dorato, organizzando un incontro all’interno dell'elegante e suggestiva cornice del nostro “In Verdicchio Veritas Museo”. Un convegno diverso dal solito, ideato e fortemente voluto da tutta la famiglia Sartarelli e dal professor Riccardo Ceccarelli, storico marchigiano della Deputazione di Storia Patria per le Marche e dell’Accademia dei Georgofili di Firenze, nonché curatore del museo stesso.
Significativa è stata la presenza di giornalisti e operatori di settore italiani e stranieri, colleghi produttori e le istituzioni, fra cui la maggior parte dei sindaci dei castelli di Jesi e rappresentanti della Regione.
Dopo i saluti del sindaco di Jesi, Dott. Massimo Bacci e del sindaco di Poggio San Marcello, Avv. Tiziano Consoli, abbiamo voluto tracciare la storia di questo simbolo del made in Marche, cercando di analizzarne tutti gli aspetti, sia positivi che negativi, con uno sguardo particolare volto agli sviluppi futuri.
Preziosi gli interventi dei relatori intervenuti, a cominciare da quello del segretario generale della Camera di Commercio di Ancona, Dott. Michele De Vita, il quale ha analizzato l’andamento delle aziende vinicole marchigiane, e del Dott. Federico Castellucci, direttore generale onorario dell’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino e presidente della Federazione Nazionale Vitivinicola di Confagricoltura, che ha condotto un’approfondita e vivace analisi statistica di produzione e consumo nonché delle esportazioni di vino su base internazionale.
Di particolare rilievo il contributo di Ian D’Agata, l’autore di Native Wine Grapes of Italy e senior editor di Vinous, e di Paolo Massobrio, giornalista e autore de ilGolosario, che hanno approfondito il tema riguardante l’unicità e l’autenticità territoriale di questa varietà considerata autoctona, proprio perché se impiantata altrove non svilupperebbe le stesse eccellenti caratteristiche. Varietà tanto decantata per la sua versatilità nella produzione stessa di questo simbolo marchigiano per eccellenza, quella del vino più premiato d’Italia e uno dei migliori bianchi italiani, un vino con grandi potenzialità, così come per la sua straordinaria capacità di longevità e invecchiamento.
Un giro virtuale delle Marche tramite gli accostamenti di Verdicchio e cibo locale è stato poi condotto dallo chef Mauro Uliassi, che ha introdotto l’argomento del Verdicchio in cucina, raccontando la struggente bellezza della nostra regione, la sua riservatezza e dignità, una regione che fino a qualche tempo fa era rimasta al riparo dai riflettori ma che oggi, piano piano, sta mostrando a tutti il suo infinito splendore.

Il convegno si è poi concluso con il prezioso intervento del presidente della Regione Marche, Dott. Luca Ceriscioli, anch’egli presente per omaggiare il nostro amato Verdicchio!

Parlano di noi:

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La “capitale del Verdicchio”

La “capitale del Verdicchio”

Scritto da museosartarelli il 16 Aprile 2018 in Storia

Tutto il territorio “Castelli di Jesi” è oggi riconosciuto e apprezzato come la “capitale del Verdicchio”. Una dizione e un titolo che furono dati, ormai più di settant’anni fa a Cupramontana, da Guido Podaliri sul quotidiano La Tribuna del 9 luglio 1939. Non era un’invenzione, bensì un riconoscimento che andava ad un territorio che da decenni, se non da qualche secolo, privilegiava la coltivazione dell’omonimo vitigno, producendo un vino affermato in quegli anni sui mercati italiani. Iniziative come la Cattedra Ambulante di Viticoltura ed Enologia, affidata al prof. Riccardo Callegari di Conegliano Veneto, aperta nell’agosto del 1893, e la prima edizione della Sagra dell’Uva del 1928, furono volute proprio per perfezionare la coltivazione del verdicchio e promuovere la conoscenza del relativo vino. La coltivazione specifica di questo vitigno si andava estendendo dalla seconda metà dell’Ottocento quando, l’allora direttore della Regia Scuola Enologica di Conegliano, prof. Giambattista Cerletti, inviato nel 1886 a Cupramontana dal Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio, nella relazione per lo stesso ministero, sottolineava come il territorio di Cupramontana fosse «eminentemente vinicolo e la produzione discretamente buona». Una realtà produttiva che si era andata potenziando dal Sei-Settecento, grazie all’esportazione dei vini nelle regioni limitrofe, raggiungendo città anche lontane. A Cupramontana “capitale del Verdicchio”, si sono poi aggiunti tutti i Castelli di Jesi il cui territorio, sia per le condizioni microclimatiche sia per la conformazione del terreno, ha ormai caratterizzato questo vino in maniera decisiva con una sua marcata peculiarità. Un titolo ormai storicizzato che ampliando la sua valenza da Staffolo a Serra de’ Conti, da Serra San Quirico a Castelbellino, rimane un punto fermo non per una rivendicazione oggi insignificante, quanto per un territorio e una terra che hanno saputo esprimere, ed esprimono tuttora, nella produzione del verdicchio un’autentica eccellenza.

 

Prof. Riccardo Ceccarelli

L’Abbazia di San Benedetto a Castelplanio

L’Abbazia di San Benedetto a Castelplanio

Scritto da museosartarelli il 20 Marzo 2018 in Storia

L’abbazia di San Benedetto de’ Frondigliosi di Castelplanio, comunemente chiamata “la badia”, appare per la prima volta nei testi storici nel 1199. La struttura, appartenente all’abbazia di Sant’Elena sull’Esino, nel suo nucleo più antico risale a due secoli prima, quindi attorno all’anno 1000, per poi percorrere senza dubbio la formazione del castello sottostante. Quest’ultimo si formò e consolidò tra il 1200 e il 1300, nello stesso periodo i monaci benedettini dell’abbazia conobbero una forte decadenza, tanto da motivare un assalto da parte delle truppe jesine nel 1294. Da quegli anni in poi, probabilmente, la struttura non fu più abitata dai monaci. Nel 1457 divenne proprietà e residenza estiva dei vescovi di Jesi, subendo varie trasformazioni e adattamenti.

Vi soggiornò, tra gli altri, il cardinal Camillo Borghese, futuro papa Paolo V (1605-1621), questo, vescovo di Jesi per soli due anni (1597-1599), vi soggiornò per una quindicina di giorni nel luglio 1598. Borghese risiedeva a Roma e governava la diocesi mediante un suo vicario generale, fu il primo di una serie di vescovi che, per gran parte del 1600 fino ad oltre la metà del XIX secolo, onorarono con la porpora cardinalizia la sede di Jesi.

L’ultimo cardinale ad abitarla fu Carlo Luigi Morichini, vescovo di Jesi dal 1854 al 1871. Egli prediligeva la “badia” per la pace e la serenità che vi si godeva.

Il sociologo e pastore diocesano Carlo Luigi Morichini, nonché poeta famoso per scrivere versi solo in latino, formò insieme ad altri sacerdoti, tra i più dotti della diocesi, un “circolo letterario”, per trascorrere delle giornate insieme, parlando di cultura e verseggiando in latino.

In una di queste sue “Epistolae”, la VII (vv. 32-34) dedicata a Castelplanio “Arx Planina”, scrive “non ego certe / Planinispernam collis tua munera, Bacche” e cioè” io certo non disprezzerò, o Bacco, i tuoi doni delle colline di Castelplanio”. Questo è un chiaro riferimento alle vigne, e al vino in esse prodotto, che circondavano la “badia” già nel XVII e nel XVIII secolo, come ci mostra un cabreo dell’epoca. Tuttora le poesie di Morichini, di indole fortemente bucolica-virgiliana coniugata con i sentimenti dell’amicizia e della familiarità, sono fonte d’ispirazione.

Prof. Riccardo Ceccarelli

Cena di Natale del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Marche Nord

Cena di Natale del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Marche Nord

Scritto da museosartarelli il 22 Dicembre 2017 in News & Mostre

Lunedì 18 dicembre, l’azienda vitivinicola Sartarelli è stata il punto d’incontro per tutti i soci del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Marche Nord: un consueto appuntamento di fine anno volto a festeggiare, in un’atmosfera natalizia, il percorso di un lavoro comune.
La sala grande del museo Sartarelli è stata dunque la cornice di questa piacevole serata, iniziata con la visita guidata all’interno della nostra azienda; un percorso guidato per introdurre tutti i soci all’interno del mondo del Verdicchio, dando modo di conoscere a pieno la sua storia e tutta la nostra tradizione a lui legata.
Un’atmosfera piacevole, durante la quale il Gruppo Giovani di Confindustria ha avuto modo di tracciare il bilancio dell’anno appena trascorso e programmare quello per il 2018.
L’evento è poi proseguito con un’elegante cena gourmet, 5 portate accompagnate ognuna da un’attenta selezione dei nostri vini, per poi concludersi con un caloroso scambio di auguri, nella speranza che il 2018 sia pieno di gioia e serenità.
Prosit!